– Leone! Sono sveglio!
– Buongiorno Bobo, arrivo!
Fa le scale a due a due, Leone, per la voglia che ha di vedere il bambino.
Bobo è già in piedi, di fronte allo specchio dell’armadio.
– Guarda: ho tutti i capelli spalancati.
– Spettinati. Dai che ti vesto.
– In verità (Bobo ha l’abitudine di iniziare le frasi che ritiene importanti con la locuzione “In verità”, seguita da una pausa a effetto), la colazione voglio farla con il pigiamo.
– Il pigiama, si dice.
– Pigiama si dice “la pigiama”.
– No, pigiama è maschile, anche se finisce per “a”.
– Ma lo mettono anche le femmine.
– Sì.
– Allora il mio è un pigiamo.
– Ma non esiste la parola pigiamo.
Bobo si ferma a metà scala e stende con le piccole mani la sua casacca davanti a Leone ingigantendo la stampa di un terribile Gormito.
– Questo è un pigiamo.
– Ok, come vuoi.
Soddisfatto, Bobo raggiunge la cucina, si arrampica sullo sgabello e si allunga per raggiungere i biscotti. Poi comincia a sgranocchiarne uno.
– Vuoi un po’ di latte?
– Sì, il latte.
Leone posa al centro della tovaglietta la tazza con il latte caldo, già addizionato di cioccolato in polvere.
– Sai che la mamma ha un orologio sottàcubo?
– Subacqueo.
– Sì. Lo sai?
– Non lo sapevo. E a cosa le serve?
Bobo sembra corrucciarsi. Incamera un altro biscotto e inizia a masticarlo con attenzione.
– La doccia.
Leone ride.
– Non fa ridere, la doccia.
– No, hai ragione, non fa ridere.
– Io non voglio farla mai, la doccia.
– Nemmeno io.
Il volto di Bobo si illumina:
– Davvero?
Leone si avvicina a Bobo e gli pulisce la bocca con un tovagliolo di carta.
– Sì.
Il bambino si guarda le piccole mani e, quando scopre che non contengono nessun biscotto, si alza per raggiungere i suoi giochi.
Leone si mette a sbarazzare la tavola.
– Vieni con me a bagnare i bonsai?
– Posso farlo io?
– Certo. Ormai sei capace.
– Evvai! Andiamo!
Vederli camminare fianco a fianco è il concretizzarsi di un antico luogo comune, anche se cinque e cinquant’anni non sono già più e non sono ancora gli estremi della vita. Però i loro corpi hanno un’età ben definita, e la dimostrano in ogni singola parte: le mani di Bobo sono piccole, liscie e morbide, per non parlare dei suoi piedi, che sembrano di pizzo; quelle di Leone ricoperte di vene, con le nocche già grinzose, segnate da qualche piccola cicatrice. Ed è così per ogni singola parte del corpo, anche quelle meno sospettabili e suscettibili di usura, anche quelle più interne. E la frequenza dei passi si ripercuote sul battito delle ciglia, sull’andamento delle braccia, sui movimenti delle due teste sui rispettivi colli. Leone ricorda un sauro, in confronto al colibrì che è Bobo.
Arrivati davanti ai bonsai, Leone riempie il piccolo innaffiatoio di metallo a collo lungo e lo porge a Bobo, che lo afferra con entrambe le mani tenendolo saldamente davanti a sé, come se fosse il bastone di uno stregone. Si avvicina alla prima delle piantine e inizia a inclinare con attenzione il collo dell’innaffiatoio fino a quando ne fuoriesce una pioggerellina impalpabile che irrora la chioma verde brillante di un ginepro.
– Sai che gli alberi possono vivere per tantissimo tempo?
– Per millecento anni?
– Sì, ci sono alberi che hanno più di mille anni.
– Millecento?
– Sì.
– Vedi quell’albero là?
– Ha millecento anni?
– No, però guarda tutti quei rami che sembrano secchi. Quelli marroni, li vedi?
– Sì.
– E vedi quei due rami verdi, quelli più piccoli, che spuntano dal ramo marrone?
– Sì.
– Ecco. La parte marrone è quella vecchia, come se fossi io. La parte verde è quella giovane, come se fossi tu.
– La parte verde è un bambino?
– Sì, bravo: è come se quell’albero fosse io e te insieme. Per questo può vivere così tanto. Hai capito?
Bobo non risponde, ma riprende ad annaffiare il ginepro. Poi, quando decide che ha avuto abbastanza acqua, passa ai gelsi.
– Leone, io poi muoro?
– Si dice “muoio”.
– Io muoio?
– Tu sei piccolino e devi crescere ancora tanto.
– E tu muori?
– Prima o poi morirò, sì. Ma non pensarci, è una cosa lontana.
Mentre dirige il delicato getto d’acqua sulle piccole foglie dei gelsi, Bobo domanda ancora.
– Ma quando si muore, dopo cosa succede?
Leone non dice niente. Bobo smette di annaffiare e si mette a fissarlo.
– Non si sa. Qualcuno crede che si vada in Paradiso, altri credono altre cose.
Bobo annuisce convinto.
– All’asilo la maestra ci ha raccontato del Paradiso.
– Davvero?
– Sì.
– E secondo te ci andiamo in Paradiso?
Ora la pausa la fa Bobo.
– Secondo me diventiamo tutti cinesi.
Poi restituisce l’innaffiatoio a Leone e con due dita si tira gli occhi all’infuori.
– Tutti con gli occhi così.