frammento #1 di una storia

Leone raggiunge il lato opposto del giardino accarezzando con una mano la bassa siepe di bosso che divide il giardino in due e separa la zona più adiacente alla casa, con le panche e il tavolo in pietra dove si consumano i pranzi nel periodo delle vacanze estive, quando la figlia Anna torna a casa accompagnata da un’amica o un fidanzato, da quella in cui crescono gli alberi da frutto. Sfiorare camminando le piccole foglie del bosso, morbide e cedevoli al tatto, è come accarezzare i capelli di un bambino di quattro anni che si muove alla tua stessa velocità, assecondando le sue pause e le accelerazioni.

Arrivato alla fine della siepe Leone si siede sulla sua sdraio: è lì da anni e ormai cade quasi a pezzi, ma è ancora in grado di sostenere il suo peso. Socchiudendo gli occhi per fare schermo al sole che, sebbene sia ancora un ragazzino incostante incapace di brillare per più di poche ore al giorno, non permette più uno sguardo diretto nella sezione del cielo da lui presidiata, riesce a vedere, anche se con leggeri effetti lisergici, le montagne ancora coperte di neve in prossimità della cima, una delle poche ragioni per cui valga la pena vivere in quella parte d’Italia; sebbene siano una poco coraggiosa parodia delle Alpi, costituiscono per Leone, che è sempre stato dal punto di vista fisico abbastanza portato per gli sport ma mentalmente refrattario a praticarli, un luogo desiderabile, sia in inverno che d’estate. Ma a due condizioni: la prima, che ci fosse la presenza di un incentivo femminile, e la seconda, che ci si trovasse nella fase, consolatoria e adrenalinica insieme, del corteggiamento, soltanto quello, niente di più. Perché (e Leone stesso non avrebbe saputo spiegarne il motivo) nel suo immaginario la montagna aveva sempre escluso il sesso.

Chiudendo gli occhi per crogiolarsi meglio sotto a quel sole che di lì a pochi mesi sarebbe diventato un giovanotto spaccone, e che Leone avrebbe iniziato a odiare, si rivede ventenne alzarsi alle sei per mettersi in coda alla volta delle piste da sci, la sua lei di quel momento al suo fianco, con l’unico obiettivo di trascorrere un’ora insieme nello chalet di metà pista, dove avrebbero sorbito una cioccolata calda sussurrandosi frasi della stessa consistenza. Vede ancora, a uno a uno ma con la definizione di una foto scattata da un cellulare datato, tutti i particolari del bar: il tavolo in legno, gli animali imbalsamati con gli occhi di plastica lucida in cui si riflettono i suoi, le grandi tazze marroni anche all’interno, le sagome degli altri sciatori in pausa e, naturalmente, le varie lei che nel corso del tempo si erano unite a Leone in quelle domeniche da parte sua ipocritamente sportive, tutte quelle ragazze a cui non sa più dare un volto né un nome certi, ma che emanano ancora, una per una e a distanza di trent’anni, più calore della stufa a legna che ogni volta, se si dava retta al freddo esterno e ci si sedeva vicino alle sue mattonelle smaltate, rendeva incandescenti i pantavento in poliestere. E poi le successive discese, lungo le piste e poi l’ultima, definitiva, lungo la strada, di nuovo in coda, con gli occhi fissi sull’auto davanti e la mente concentrata sul bacio rubato a tutte loro davanti a casa, prima che i rispettivi padri fossero usciti per aiutarle con l’attrezzatura.

E la stessa situazione si era ripetuta in ognuna delle estati di quegli anni e di quelli successivi, con camminate fra marmotte fischianti e vacche pezzate dagli occhi troppo grandi, lungo sentieri, mulattiere, pietraie e qualche cresta smussata, per raggiungere il laghetto montano dove avrebbe potuto nuotare insieme alla lei del momento e stendersi insieme a prendere il sole e magari addormentarsi per un po’. E poi scendere insieme, saltellando insicuri (come diceva Leone, un po’ scherzando e un po’ no, di fratta in fratta) con lui che ammortizzava sempre meno i dislivelli, fino a non riuscire più a frenare nemmeno le palpebre, sempre meno in grado di fissarsi in modo continuativo su di lei, fino a scoprire che non si trattava di una sola lei, ma di tante, anzi, di tutte le lei che si erano mai accompagnate a lui per andare in montagna, lui che all’occorrenza porgeva braccia non possenti ma il più delle volte salde a questa o a quella o a quell’altra, zigzagando tutti insieme fra le pietre affioranti come in una gara senza senso in cui Leone fungeva da arbitro e loro, le ragazze, tutte insieme, correvano a rompicollo sorridendo felici per arrivare prime, ma tutte insieme e contemporaneamente.


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